Quando ero al carcere di Milano due lettere alla settimana non mi bastavano mai: avevo la mania di chiacchierare per iscritto. Ricordi come scrivevo fitto fitto? Si può dire che allora tutti i miei pensieri, durante la settimana, erano concentrati per il lunedí: cosa potrò scrivere? in che modo dovrò scrivere questo o quest'altro perché la lettera non sia trattenuta? Ora non so piú cosa scrivere, come incominciare. Mi sto completamente imbozzolando. La mia attenzione è rivolta a quello che leggo e traduco. Mi pare, quando rifletto su me stesso, di essere ricaduto nello stato di ossessione in cui mi trovavo negli anni dell'Università quando mi concentravo su una questione ed essa mi assorbiva in tal modo che non badavo piú a nulla e correvo talvolta il pericolo di andare sotto il tranvai.
Mi dici di scrivere a Giulia tante cosette, dei particolari della mia vita. Ma il fatto è che nella mia vita non ci sono né cosette né particolari, non ci sono chiaroscuri. Ed è bene che sia cosí. Quando la vita in carcere è movimentata, il segno è brutto assai. L'unico campo che non sia come quel quadro che rappresentava un nero al buio è quello cerebrale. Ma ci sono dei limiti, sostanziali e formali. Formali, perché sono in carcere e ho dei limiti regolamentari. Sostanziali perché ciò che spesso mi interessa, ha un valore molto relativo. In questo momento mi interessa la quistione se la lingua dei Niam Niam, che chiamano se stessi popolo dei Sandeh, mentre il nome Niam Niam è attribuito loro dai vicini Dinka, appartenga o no alla branca sudanese occidentale, anche se il territorio dove è parlata è posto nel Sudan orientale, tra il 22° e il 28° grado di longitudine Est.
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