Solo cosí, secondo me, si spiega che solo dopo il 700, cioè dopo l'inizio delle prime lotte tra Stato e Chiesa col giurisdizionalismo, si possa parlare di intellettuali italiani «nazionali»: fino allora, gli intellettuali italiani erano cosmopoliti, esercitarono una funzione universalistica (o per la Chiesa, o per l'Impero) anazionale, contribuirono a organizzare altri stati nazionali come tecnici e specialisti, offrirono «personale dirigente» a tutta l'Europa, e non si concentrarono come categoria nazionale, come gruppo specializzato di classi nazionali. - Come vedi questo argomento potrebbe dar luogo a tutta una serie di saggi, ma per ciò è necessaria tutta una ricerca erudita. - Cosí avviene per altre ricerche. Bisogna anche tener conto che l'abito di severa disciplina filologica, acquistato durante gli studi universitari, mi ha dato un'eccessiva, forse, provvista di scrupoli metodici. Da tutto ciò viene una difficoltà a indicare libri troppo specializzati. Del resto ti indico due volumi che desidero leggere: 1° Un trentennio di lotte politiche (1894-1922) del prof. De Viti De Marco, «Collezione meridionale» editrice, Roma; 2° Lucien Laurat, L'Accumulation du capital d'après R. Luxembourg, Paris, Rivière. - Ciò che scrivi a proposito del nuovo regolamento carcerario e della possibilità di fare delle traduzioni in carcere è progetto senza base; io non voglio impegnarmi a fare dei lavori continuativi, perché non sempre sono in grado di lavorare; del resto nelle case speciali l'obbligo di lavoro non credo neanche possa sussistere.
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