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      Non avevo certo pensato che una tale conversione potesse avere niente di «opportunistico» e tanto meno di venale, come purtroppo è avvenuto per molti grandi intellettuali: lo stesso cattolicismo fervente del Gerosa, come ben ricordo, aveva piuttosto venature giansenistiche che venature gesuitiche. Tuttavia il fatto mi era dispiaciuto. Quando ero allievo del Cosmo in molte cose non ero d'accordo con lui, naturalmente, sebbene allora non avessi precisato la mia posizione e a parte l'affetto che mi legava a lui. Ma mi pareva che tanto io come il Cosmo come molti altri intellettuali del tempo (si può dire nei primi 15 anni del secolo) ci trovassimo in un terreno comune che era questo: partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza religione e s'intende senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire. Questo punto mi pare anche oggi il maggiore contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani, mi pare una conquista civile che non deve essere perduta e perciò mi spiacque quel tono un po' apologetico e mi entrò quel dubbio. Adesso mi spiacerebbe se il vecchio professore avesse egli sentito un dolore per causa mia, anche perché dalla sua lettera appare che egli è stato gravemente ammalato. Nonostante tutto, io spero di poterlo ancora rivedere e potere impegnare con lui qualcheduna di quelle lunghe discussioni che facevamo talvolta negli anni di guerra passeggiando di notte per le vie di Torino.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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