La personalità e la volontà sono prodotti dialettici, di una lotta interiore che può e deve essere esteriorizzata, quando internamente l'antagonista è soffocato per un processo morboso; l'importante sarebbe che quel «tormentare» non sia un astratto tormentare, ma un concreto pungolo della coscienza mosso e vibrato razionalmente. Il motivo razionale mi pare debba esser questo: - noi siamo uniti da vincoli non solo di affetto ma di solidarietà. Quali, volta a volta, possono essere i piú forti e reattivi? L'affetto è un sentimento spontaneo che non crea obblighi perché è fuori della sfera della moralità. Può essere suscitato irrazionalmente e potrebbe esserlo, per esempio, se da parte mia, ti scrivessi lettere infiammate. Potrei scriverle, naturalmente, in tutta sincerità, ma non voglio; le mie lettere sono «pubbliche» non riservate a noi due e la coscienza di ciò mi obbliga ferreamente a limitare l'esplosione dei miei sentimenti, in quanto si esprimono in parole scritte in queste lettere. Ci sono dunque i vincoli di solidarietà su cui si può e quindi si deve far leva, e mi pare ora che io non avrei mai dovuto smettere di tormentarti in questo senso. Avrei dovuto porti spesso dinanzi a un tuo dovere oggettivo, e dico oggettivo appunto perché dipendente solo dai vincoli di solidarietà. Voglio fare l'esempio della chiesa e della religione. Per la chiesa la credenza in dio dovrebbe essere per ogni uomo la fonte della massima consolazione e la base incrollabile della vita morale, ma pare che la chiesa non si fidi troppo di questa incrollabilità e della saldezza di questa consolazione rasserenante, perché spinge i fedeli a creare istituzioni umane che con mezzi umani vengano in soccorso degli afflitti e impediscano loro di dubitare e di scuotersi nella loro fede.
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