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      Qualche volta, nelle tue lettere, tu ti abbandoni al flusso di pensieri che non si sono fissati ancora nella tua coscienza (almeno mentre scrivi) e ciò dà una certa nebulosità alle tue lettere. Sarebbe bene scrivere le cose già ben fissate dallo stato vaporoso e non fissarle (in ogni caso) senza prima averle discusse con me, quando mi riguardano da vicino. Tu non hai ancora capito bene quale sia la reale psicologia di un carcerato. Ciò che piú fa soffrire è lo stato di incertezza, l'indeterminazione di ciò che deve avvenire da parte delle persone che non sono gli agenti di custodia, perché si aggiunge (ma con una ben diversa portata) allo stato di incertezza e di indeterminazione che è propria dell'essere carcerati. Ci si abitua dopo molta sofferenza e dopo molti sforzi di inibizione a essere un oggetto senza volontà e senza soggettività nei confronti della macchina amministrativa che in ogni momento ti può spedire a destra e a mancina, farti cambiare abitudini radicate ecc. ecc.; se a questa macchina e ai suoi sussulti irrazionali si aggiunge anche l'attività irrazionale e caotica dei propri familiari, il carcerato si sente addirittura schiacciato e stritolato. Non bisogna mai fare progetti e promesse vaghe e nebulose, non bisogna limare i nervi, altrimenti avviene anche a me, che pure sono molto paziente e capace di ogni inibizione, di irrigidirmi nell'affermazione della «mia propria volontà» e di farla contare anche se non ne vale la pena, per dimostrare a me stesso di essere ancora vivo.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803