Ti prego di informarmi in ogni caso, perché sappia come regolarmi. Ti avrei voluto già scrivere di fare iniziare l'abbonamento anche alla rivista «La Cultura» (Soc. Editrice «La Cultura» Via Cappellini, 14, Milano), per la quale ho l'autorizzazione, ma non te ne ho scritto finora, appunto perché non avevo avuto riscontro alle ordinazioni cui ho accennato. Se si tratta solo di una tua dimenticanza, puoi scrivere ora.
Voglio precisare meglio una mia affermazione a proposito della psicanalisi, che non è stata da me spiegata sufficientemente perché ha determinato un equivoco, come appare dalla tua lettera del 23 febbraio. Io non ho detto sia accertato che la cura psicanalitica non si adatti che ai casi di elementi cosí detti «umiliati e offesi»; non so nulla in proposito e non so se qualcuno abbia finora posto la quistione in questi termini. Si tratta di alcune mie riflessioni personali, non controllate sulla critica piú attendibile e scientificamente concepita della psicanalisi, che io ho presentato per spiegarti il mio atteggiamento verso la malattia di Giulia: questo atteggiamento non è poi cosí pessimistico come ti è sembrato e specialmente non è basato su fenomeni di ordine cosí primitivo e cosí basso come ti ha indotto a credere l'espressione «umiliati e offesi» che ho adoperato per brevità e solo come riferimento generico. Ecco il mio punto di vista: - Io credo che tutto ciò che di reale e di concreto si possa salvare dall'«échaffaudage» psicanalitico si possa e debba restringere a questo, all'osservazione delle devastazioni che determina in molte coscienze la contraddizione tra ciò che appare doveroso in modo categorico e le tendenze reali fondate sulla sedimentazione di vecchie abitudini e vecchi modi di pensare.
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