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      ho davanti a me quattro tuoi scritti: la lettera del 9 marzo, la cartolina del 13, le lettere del 14 e del 18. Un vero record, con mia grande gioia, sebbene mi dispiaccia che la mia gioia sia, in questo caso, legata a una tua fatica. Cercherò di rispondere con ordine, per non dimenticare nulla di essenziale. - Ho letto le osservazioni del prof. Cosmo a proposito del Canto dell'Inferno dantesco. Lo ringrazio dei suggerimenti e delle indicazioni bibliografiche. Non credo però che valga la pena di acquistare i fascicoli di rivista che egli indica: a quale scopo? Se volessi scrivere un saggio per la pubblicazione, questi scritti non sarebbero sufficienti (o almeno non mi sembrerebbero sufficienti, determinando uno stato d'animo di raffrenamento e di insoddisfazione); e per scrivere qualcosa per conto mio, per passare il tempo, non val la pena di disturbare cosí solenni monumenti come gli «Studi danteschi» di Michele Barbi, che, magari poi, a leggere, non danno nessuno spunto necessario o indirettamente utile. La letteratura dantesca è cosí pletorica e prolissa, che l'unica giustificazione a scrivere qualcosa in proposito mi pare sia quella di dire qualcosa di veramente nuovo, con la maggiore precisione e col minimo di parole possibili. Lo stesso prof. Cosmo mi pare soffra un po' della malattia professionale dei dantisti: se i suoi suggerimenti fossero seguiti alla lettera, bisognerebbe scrivere un volume intero. Sono soddisfatto di sapere che la interpretazione del Canto che ho abbozzato sia relativamente nuova e degna di trattazione; per la mia umanità da carcerato questo è sufficiente per farmi distillare qualche pagina di appunti che a priori non mi sembrino una superfetazione.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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