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      Ebbene bisogna che ti parli proprio francamente. Poiché io non metto neanche in dubbio il tuo affetto per me (è questa una premessa sempre presente al mio spirito, anche quando non vi accenno e mi pare sia inutile accennarlo, come sarebbe ricordare sempre che la mamma o Giulia mi vogliono bene) e ormai penso che la mia lettera del 14 nov. rimarrà per ora senza conseguenze decisive, ti voglio dire che proprio il tuo atteggiamento deve mutare in alcuni punti. Credi che non voglio fare recriminazioni (che sarebbero stolte), ma ti voglio fare ricordare un episodio di qualche anno fa che forse hai dimenticato e al quale mi pare allora non hai riflettuto abbastanza per trarne norma di condotta. Ricordi che nel 1928, quando ero nel giudiziario di Milano, ricevetti una lettera di un «amico» che era all'estero. Ricordi che ti parlai di questa lettera molto «strana» e ti riferii che il giudice istruttore, dopo avermela consegnata, aggiunge testualmente: «onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera». Tu stessa mi riferisti un altro giudizio dato su questa stessa lettera, giudizio che culminava nell'aggettivo «criminale». Ebbene, questa lettera era estremamente «affettuosa» verso di me, pareva scritta per la sollecitudine impaziente di «consolarmi», di incoraggiarmi ecc. Eppure sia il giudizio del giudice istruttore che l'altro da te riferito, oggettivamente erano esatti. Dunque si può commettere un atto criminale volendo fare del bene, dunque qualcheduno volendoti fare del bene può invece aver ribadito le tue catene?


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Giulia Milano Gramsci