Poche osservazioni su alcuni punti della tua lettera che mi riguardano. Non credo che tu non «possa fare a meno di offenderti e anche addolorarti profondamente» per ciò che ti ho scritto a proposito dei tuoi annunzi di venire a Turi nel 1932, annunzi che mi hanno fatto, giustificatamente, astenere dallo scriverti io, pregandoti di venire. Il mio modo di operare e (se non quello di sentire) quello almeno di esprimere i miei sentimenti, deve essere «razionale» e anzi «razionalizzato»; deve escludere anche le cose inutili e non solo quelle che io ritenga (dopo aver ponderato) positivamente dannose. Le cose inutili possono contenere una dannosità latente che mi può sfuggire e cerco perciò di evitarle. L'esperienza di sei anni mi ha mostrato che solo per aver operato cosí, ho potuto resistere e durare fino ad oggi. Tu capisci che è diverso il contraccolpo di un male inevitabile, fuori della propria volontà e controllo e quello di un male che noi stessi abbiamo contribuito a suscitare od aggravare per la nostra insipienza, trascuratezza, avventatezza ecc. Parlo del contraccolpo psicologico, s'intende, che spesso in carcere è piú disastroso di quello materiale e fisiologico. Le tue promesse rendevano inutile una mia insistenza. D'altronde devi ricordare ancora che proprio nel gennaio 1932, quando non venisti dopo le prime promesse, io mi lamentai con te, pregandoti di evitare di far promesse che non eri sicura di mantenere, ma di annunziare i fatti quando essi erano decisi e già in via di esecuzione.
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Turi
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