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      È un vero peccato che le opere di Voltaire non siano permesse in carcere (almeno cosí credo) e specialmente è spiacevole che tutta la vita si debba trascorrere entro quattro strette mura, senza tutti gli svaghi che stimolano il buon umore. Del resto, hai ragione. Tutto sta nel paragonare la propria vita a qualche forma ancora peggiore e consolarsi con la relatività delle umane fortune. Quando avevo 8 o 9 anni ho avuto una esperienza che mi è ritornata chiaramente alla memoria leggendo il tuo consiglio. Conoscevo una famiglia di un villaggio vicino al mio, padre, madre e figlioli: erano piccoli proprietari ed esercivano una osteria. Gente energica, specialmente la donna. Sapevo (avevo sentito dire) che oltre ai figli noti e conosciuti, questa donna aveva un altro figlio che non si vedeva mai, del quale si parlava con sospiri come di una gran disgrazia per la madre, un idiota, un mostro, o giú di lí. Ricordo che mia madre accennava spesso a questa donna come ad una martire, che tanti sacrifizi faceva per questo suo figlio e tanti dolori sopportava. Una domenica mattina, verso le 10, io fui inviato da questa donna; dovevo consegnarle certi lavori di uncinetto e riscuotere dei denari. La trovai che chiudeva l'uscio di casa, vestita di festa per recarsi alla messa solenne: aveva una sporta sotto il braccio. Al vedermi esitò un poco, poi si decise. Mi disse di accompagnarla a un certo luogo e che al ritorno avrebbe preso in consegna i lavori e mi avrebbe consegnato i denari. Mi condusse fuori del paese, in un orticello ingombro di rottami e di calcinacci; in un angolo c'era una costruzione ad uso porcile, alta un metro e venti, senza finestre o sportelli, con solo una robusta porta d'ingresso.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Voltaire