Nel mio caso particolare, è certo che in tutti questi anni ho sempre pensato a certi fatti (nel caso specifico alla serie di fatti che possono simbolicamente riassumersi nella famosa lettera di cui mi parlò il giudice istruttore a Milano e sulla quale anche recentemente ti intrattenni), ma è anche certo che in questi ultimi mesi questi pensieri si sono venuti, dirò cosí; intensificando, forse perché diminuiva in me la fiducia di potere personalmente chiarirli, di potere occuparmene «filologicamente», risalire alle fonti e venire a una spiegazione plausibile di essi. Quello che oggi ti voglio dire è questo: che a questa serie di fatti collego le manifestazioni dei miei rapporti con Iulca. Cioè che a questa serie di preoccupazioni erano collegate certe lettere che ti scrissi molto tempo fa e che forse non hai dimenticato, fino all'ultima che tu talvolta chiami «famigerata» e che non è molto lontana nel tempo. In ogni modo anche oggi sono persuaso che nei miei rapporti con Iulca c'è un certo equivoco, un doppio fondo, una ambiguità che impedisce di veder chiaro e di essere completamente franchi: la mia impressione è di essere tenuto da parte, di rappresentare, per cosí dire, «una pratica burocratica» da emarginare e nulla piú. Guarda che io per il primo sono persuaso di aver commesso degli errori, ma l'impressione è che non si tratti di questi errori, ma di altro che mi sfugge e non riesco a identificare con precisione. D'altronde, come puoi pensare, sebbene viva in carcere, isolato da ogni fonte di comunicazione, diretta e indiretta, non devi pensare che non mi arrivino ugualmente elementi di giudizio e di riflessione.
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