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      Tuttavia ho superato questa indecisione e ho pensato che può essere non inutile fare questa prova e intanto fissare ciò che dovrò fare in avvenire. Non so se Carlo abbia dovuto prendere impegni anche per ciò che riguarda i termini di tempo. Spero di no. Credo quindi che una ventina di giorni (o meno, se sarà possibile) siano sufficienti non per essere curato, ma almeno per essere sottoposto a una osservazione un po' accurata e sapere come potrò curarmi in un carcere o almeno come potrò tirare innanzi meno dolorosamente. Questa è attualmente la mia opinione, in cui ho cercato di accordare diverse esigenze e spesso in contrasto tra loro: mi pare che l'esigenza piú incoercibile sia quella finanziaria e ad essa ho cercato di riferirmi per trovare l'equilibrio piú utile e soddisfacente.
      Ti vorrei parlare del fatto che da quindici giorni tu non mi scrivi. Penso che la mia risposta alla tua del 12 (o 11) sia stata la cagione di questo tuo silenzio. Sono certo di averti addolorata. Ciò che piú di tutto mi dispiace oggi, come mi ha prodotto tanto dolore in questi ultimi anni, è il fatto che la mia situazione di carcerato non mi ha permesso né per lettera né in conversazione nei colloqui, di venire con te a una chiarificazione esauriente. Probabilmente ciò non sarà possibile neanche in avvenire, poiché del mio futuro ormai mi sono formato un giudizio chiaro e netto. Specialmente in questi mesi ho spesso pensato che tu mettevi una particolare cattiva volontà nel non comprendere quale fosse la mia esatta posizione, nel non comprendere la necessità di seguire alla lettera le mie indicazioni, di non fare nulla senza prima avvertirmene, di rinunziare piuttosto a fare ciò che io avevo indicato, se inattuabile, ma non di mutare i termini dell'indicazione.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Carlo