Spero che adesso mi scriverai piú a lungo e mi farai partecipe di ciò che ti interessa.
Ti bacio, tuopapa
394.
[estate 1936]
Cara Giulia,
non so ciò che puoi aver capito della mia espressione «finire un ciclo della vita», ma mi pare che non hai capito con esattezza e che hai dato all'espressione un significato troppo tragico, che io non capisco con esattezza. E poi, non hai ragione quando dici che «né la malattia né altri fatti possono dividere una vita umana in diversi cicli». Questo, per dirla con pedanteria, è evoluzionismo volgare e, sotto la sua apparenza di un razionale ottimismo, è una forma di fatalismo quietistico. Ciò che io intendo quando penso che un mio ritiro in Sardegna (che pure sento sarebbe e potrebbe essere utile alla mia salute) sarebbe l'inizio di un nuovo ciclo della mia vita è l'espressione di una analisi ben ponderata, nelle condizioni date, della mia posizione che sarebbe di isolamento completo, di degradazione intellettuale più accentuata dell'attuale, di annullamento o quasi di certe forme di attesa che in questi anni, se mi hanno tormentato, hanno anche dato un certo contenuto alla vita. Ma non credo che possa scrivere di questo argomento in modo da dartene un senso profondo. Del resto, e questo mi pare per ora il piú importante, non devi credere che questi miei sentimenti esprimano scoraggiamento e un qualsiasi pessimismo che dirò «storico». Ho sempre pensato che la mia sorte individuale era una subordinata; ciò non vuol dire che anche la mia sorte individuale, come quella di ogni altro individuo, non mi preoccupi e anche non mi «debba» preoccupare.
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Giulia Sardegna
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