Ho dovuto discutere senza aver letto nulla ancora, si capisce, cercando di indovinare dalle domande che mi faceva, cosa tu avevi scritto e cosa volevi dire. «Cos'è questo Kitai, e cosa c'entra l'Austria?» «Cosa sono gli uomini che fanno trascinare i carri dai cani?». Ci volle un bello sforzo da parte mia per dare una spiegazione plausibile (non avevo ancora letto la lettera) e non so se sarei riuscito a spuntarla, se a un certo punto non avessi domandato bruscamente: «Ma lei ha moglie? E non capisce come può scrivere una mamma quando vuol scrivere di un figlio al padre lontano?» Il fatto è che mi consegnò subito la lettera; aveva moglie, ma non figli. Una sciocchezza, ma ha il suo significato: io «sapevo» che lui avrebbe letto le mie lettere con la stessa acrimoniosa e sospettosa pedanteria e ciò mi «costringeva» a un modo di scrivere «carcerario», da cui non so se riuscirò mai a liberarmi dopo tanti anni di «compressione». Ti potrei raccontare altri episodi e altre cose, ma non voglio che per farti ridere, ti rattristi invece con lo sciorinare le miserie del passato. La tua lettera mi ha rallegrato: mi pare che da un pezzo non scrivevi con tale lievità e con tale... assoluta mancanza di errori. Cara, fa lavorare il cervello e perciò scrivimi piú a lungo sui maliscì, senza obbiettività. A proposito, mi pare che questo tuo aforisma sentenzioso: «Fare un rapporto (!?) sulla vita dei ragazzi è disfare la loro vita!» sia un grandioso sproposito, ma di quelli! Altro che l'Imalaia!
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Kitai Austria Imalaia
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