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      Non si può parlare perciò di nessun centralismo, né organico né democratico né d'altro genere o misto. L'influsso era sentito e subito da scarsi gruppi intellettuali, senza legame con le masse popolari e appunto questa assenza di legame caratterizzava la situazione. Tuttavia un tale stato di cose è degno di esame perché giova a spiegare il processo che ha condotto a formulare le teorie del centralismo organico, che sono state appunto una critica unilaterale e da intellettuali di quel disordine e di quella dispersione di forze.
      Occorre intanto distinguere nelle teorie del centralismo organico tra quelle che velano un preciso programma di predominio reale di una parte sul tutto (sia la parte costituita da un ceto come quello degli intellettuali, sia costituita da un gruppo territoriale «privilegiato») e quelle che sono una pura posizione unilaterale di settari e fanatici, e che pur potendo nascondere un programma di predominio (di solito di una singola individualità, come quella del papa infallibile per cui il cattolicismo si è trasformato in una specie di culto del pontefice), immediatamente non pare nascondere un tale programma come fatto politico consapevole. Il nome piú esatto sarebbe quello di centralismo burocratico. L'«organicità» non può essere che del centralismo democratico il quale è un «centralismo» in movimento, per cosí dire, cioè una continua adeguazione dell'organizzazione al movimento reale, un contemperare le spinte dal basso con il comando dall'alto, un inserimento continuo degli elementi che sbocciano dal profondo della massa nella cornice solida dell'apparato di direzione che assicura la continuità e l'accumularsi regolare delle esperienze: esso è «organico» perché tiene conto del movimento, che è il modo organico di rivelarsi della realtà storica e non si irrigidisce meccanicamente nella burocrazia, e nello stesso tempo tiene conto di ciò che è relativamente stabile e permanente o che per lo meno si muove in una direzione facile a prevedersi ecc.


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Note sul Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno
di Antonio Gramsci
pagine 599