I costumi e le leggi. È opinione molto diffusa e anzi è opinione ritenuta realistica e intelligente che le leggi devono essere precedute dal costume, che la legge è efficace solo in quanto sanziona i costumi. Questa opinione è contro la storia reale dello sviluppo del diritto, che ha domandato sempre una lotta per affermarsi e che in realtà è lotta per la creazione di un nuovo costume. Nell'opinione su citata esiste un residuo molto appariscente di moralismo intruso nella politica.
Si suppone che il diritto sia espressione integrale dell'intera società, ciò che è falso: invece espressione piú aderente della società sono quelle regole di condotta che i giuristi chiamano «giuridicamente indifferenti» e la cui zona cambia coi tempi e con l'estensione dell'intervento statale nella vita dei cittadini. Il diritto non esprime tutta la società (per cui i violatori del diritto sarebbero esseri antisociali per natura, o minorati psichici), ma la classe dirigente, che «impone» a tutta la società quelle norme di condotta che sono piú legate alla sua ragion d'essere e al suo sviluppo. La funzione massima del diritto è questa: di presupporre che tutti i cittadini devono accettare liberamente il conformismo segnato dal diritto, in quanto tutti possono diventare elementi della classe dirigente; nel diritto moderno cioè è implicita l'utopia democratica del secolo XVIII.
Qualche cosa di vero tuttavia esiste nell'opinione che il costume deve precedere il diritto: infatti nelle rivoluzioni contro gli Stati assoluti, esisteva già come costume e come aspirazione una gran parte di ciò che poi divenne diritto obbligatorio: è con il nascere e lo svilupparsi delle disuguaglianze che il carattere obbligatorio del diritto andò aumentando, cosí come andò aumentando la zona dell'intervento statale e dell'obbligazionismo giuridico.
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