In realtà il «piede di casa», le mani nette ecc. che tanto sono rimproverati alle generazioni dell'Ottocento non sono che la coscienza della fine di una funzione cosmopolita nel modo tradizionale e l'incapacità di crearsene una nuova facendo leva sul popolo-nazione.
Morale e politica. Si verifica una lotta. Si giudica della «equità» e della «giustizia» delle pretese delle parti in conflitto. Si giunge alla conclusione che una delle parti non ha ragione, che le sue pretese non sono eque, o addirittura che esse mancano di senso comune. Queste conclusioni sono il risultato di modi di pensare diffusi, popolari, condivisi dalla stessa parte che in tal modo viene colpita da biasimo. Eppure questa parte continua a sostenere di «aver ragione», di essere nell'«equo» e ciò che piú conta, continua a lottare, facendo dei sacrifici, ciò che significa che le sue convinzioni non sono superficiali e a fior di labbra, non sono ragioni polemiche, per salvar la faccia, ma realmente profonde e operose nelle coscienze. Significherà che la quistione è mal posta e mal risolta. Che i concetti di equità e di giustizia sono puramente formali. Infatti può avvenire che di due parti in conflitto, ambedue abbiano ragione, «cosí stando le cose», e una appaia aver piú ragione dell'altra «cosí stando le cose», ma non abbia ragione «se le cose dovessero mutare». Ora appunto in un conflitto ciò che occorre valutare non sono le cose cosí come stanno, ma il fine che le parti in conflitto si propongono col conflitto stesso; e come questo fine, che non esiste ancora come realtà effettuale e giudicabile, potrà essere giudicato?
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Ottocento
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