Nel fare l'analisi della relazione della Banca Commerciale Italiana all'assemblea sociale per l'esercizio 1931, Attilio Cabiati (nella «Riforma Sociale» luglio-agosto 1932, p. 464) scrive: «Risalta da queste considerazioni il vizio fondamentale che ha sempre afflitto la vita economica italiana: la creazione e il mantenimento di una impalcatura industriale troppo superiore sia alla rapidità di formazione di risparmio nel paese, che alla capacità di assorbimento dei consumatori interni; vivente quindi per una parte cospicua solo per la forza del protezionismo e di aiuti statali di svariate forme. Ma il patrio protezionismo che in taluni casi raggiunge e supera il cento per cento del valore internazionale del prodotto, rincarando la vita rallentava a sua volta la formazione del risparmio, che per di piú veniva conteso all'industria dallo Stato stesso, spesso stretto dai suoi bisogni, sproporzionati alla nostra impalcatura. La guerra, allargando oltre misura tale impalcatura, costrinse le nostre banche, come scrive la relazione precitata, "ad una politica di tesoreria coraggiosa e pertinace", la quale consisté nel prendere a prestito "a rotazione" all'estero, per prestare a piú lunga scadenza all'interno. "Una tale politica di tesoreria aveva però - dice la relazione - il suo limite naturale nella necessità per le banche di conservare ad ogni costo congrue riserve di investimenti liquidi o di facile realizzo". Quando scoppiò la crisi mondiale, gli "investimenti liquidi" non si potevano realizzare se non ad uno sconto formidabile: il risparmio estero arrestò il suo flusso: le industrie nazionali non poterono ripagare.
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