Ma anche se ciò fosse, anche se nessun mezzo si avesse per giungere a Dio, attraverso la ragione o attraverso una qualsiasi altra via, nell'assoluta impossibilità di sapere, bisognerebbe tuttavia operare come se si sapesse. Poiché, secondo il calcolo delle probabilità, c'è vantaggio a scommettere che la religione è vera, e a regolare la propria vita come se essa fosse vera. Vivendo cristianamente si rischia infinitamente poco, qualche anno di torbidi piaceri (plaisir mêlé), per guadagnare l'infinito, la gioia eterna. È da riflettere che il Pascal è stato molto fine nel dare forma letteraria, giustificazione logica e prestigio morale a questo argomento della scommessa, che in realtà è un diffuso modo di pensare verso la religione, ma un modo di pensare che «si vergogna di se stesso» perché nel tempo stesso che soddisfa, appare indegno e basso. Pascal ha affrontato la «vergogna» (se cosí si può dire, poiché potrebbe essere che l'argomento del «pari» oggi popolare, in forme popolari, sia derivato dal libro del Pascal e non sia stato conosciuto prima) e ha cercato di dare dignità e giustificazione al modo di pensare popolare (quante volte si è sentito dire: «cosa ci perdi ad andare in chiesa, a credere in Dio? Se non c'è, pazienza; ma se c'è, quanto ti sarà utile aver creduto? ecc.). Questo modo di pensare, anche nella forma pascaliana del «pari», sente alquanto di volterrianismo e ricorda il modo di esprimersi di Heine: «chissà che il padre eterno non ci prepari una qualche bella sorpresa dopo la morte» o qualcosa di simile.
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