In Italia si è avuto un inizio di fanfara fordistica (esaltazione della grande città, piani regolatori per la grande Milano ecc., l'affermazione che il capitalismo è ancora ai suoi inizi e che occorre preparargli dei quadri di sviluppo grandiosi ecc.: su ciò è da vedere nella «Riforma Sociale» qualche articolo di Schiavi), poi si è avuta la conversione al ruralismo e all'illuministica depressione della città, l'esaltazione dell'artigianato e del patriarcalismo idillico, accenni alla «proprietà del mestiere» e a una lotta contro la libertà industriale. Tuttavia, anche se lo sviluppo è lento e pieno di comprensibili cautele, non si può dire che la parte conservatrice, la parte che rappresenta la vecchia cultura europea con tutti i suoi strascichi parassitarii, sia senza antagonisti (da questo punto di vista è interessante la tendenza rappresentata dai «Nuovi Studi», dalla «Critica Fascista» e dal centro intellettuale di studi corporativi organizzato presso l'Università di Pisa).
Il libro del De Man è anch'esso, a suo modo, un'espressione di questi problemi che sconvolgono la vecchia ossatura europea, una espressione senza grandezza e senza adesione a nessuna delle forze storiche maggiori che si contendono il mondo.
Alcune affermazioni sulla quistione di «Stracittà e Strapaese». Brani riferiti dalla «Fiera Letteraria» del 15 gennaio 1928. Di Giovanni Papini: «La città non crea, ma consuma. Com'è l'emporio dove affluiscono i beni strappati ai campi e alle miniere, cosí vi accorrono le anime piú fresche delle province e le idee dei grandi solitari.
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