Invece fu scelto come direttore Tomaso Borelli, «giovane liberale» al quale successe ben presto Italo Minunni dell'«Idea Nazionale» (ma la «Gazzetta di Torino», anche sotto il nome di «Paese» e nonostante le somme prodigate per svilupparla, non attecchí e fu soppressa dai suoi sostenitori). Lettera «curiosa» del Fovel nel 1919: egli scrive che «sente il dovere» di collaborare all'«Ordine Nuovo» settimanale; risposta in cui vengono fissati i limiti di una sua possibile collaborazione, dopo cui la «voce del dovere» si tace repentinamente. Il Fovel si aggregò alla banda Passigli, Martelli, Gardenghi che aveva fatto del «Lavoratore» di Trieste un centro d'affari assai lucrosi e che doveva avere dei contatti con l'ambiente industriale torinese: tentativo di Passigli di trasportare l'«Ordine Nuovo» a Trieste con gestione «commercialmente» redditizia (vedere per la data, la sottoscrizione di 100 lire fatta dal Passigli che era venuto a Torino per parlare direttamente); quistione se un «galantuomo» poteva collaborare al «Lavoratore». Nel 1921 negli uffici del «Lavoratore» furono trovate carte appartenenti al Fovel e al Gardenghi, da cui risultava che i due compari giocavano in borsa sui valori tessili durante lo sciopero guidato dai sindacalisti di Nicola Vecchi e dirigevano il giornale secondo gli interessi del loro gioco. Dopo Livorno, Fovel non fece parlare di sé per qualche tempo. Ricomparve nel 1925, collaboratore dell'«Avanti!» di Nenni e Gardenghi e impostò una campagna favorevole all'infeudamento dell'industria italiana alla finanza americana, campagna subito sfruttata (ma doveva esserci già accordo preventivo) dalla «Gazzetta del Popolo» legata all'ing.
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