Questo elemento diventa tanto piú grave se in uno Stato le masse lavoratrici non subiscono piú la pressione coercitiva di una classe superiore, se le nuove abitudini e attitudini psicofisiche connesse ai nuovi metodi di produzione e di lavoro devono essere acquistate per via di persuasione reciproca o di convinzione individualmente proposta ed accettata. Può venirsi creando una situazione a doppio fondo, un conflitto intimo tra l'ideologia «verbale» che riconosce le nuove necessità e la pratica reale «animalesca» che impedisce ai corpi fisici l'effettiva acquisizione delle nuove attitudini. Si forma in questo caso quella che si può chiamare una situazione di ipocrisia sociale totalitaria. Perché totalitaria? Nelle altre situazioni gli strati popolari sono costretti a osservare la «virtú»; chi la predica, non la osserva, pur rendendole omaggio verbale e quindi l'ipocrisia è di strati, non totale; ciò non può durare, certo, e porterà a una crisi di libertinismo; ma quando già le masse avranno assimilato la «virtú» in abitudini permanenti o quasi, cioè con oscillazioni sempre minori. Nel caso invece in cui non esiste pressione coercitiva di una classe superiore, la «virtú» viene affermata genericamente, ma non osservata né per convinzione né per coercizione e pertanto non ci sarà l'acquisizione delle attitudini psicofisiche necessarie per i nuovi metodi di lavoro. La crisi può diventare «permanente», cioè a prospettiva catastrofica, poiché solo la coercizione potrà definirla, una coercizione di nuovo tipo, in quanto esercitata dalla élite di una classe sulla propria classe, non può essere che un'autocoercizione, cioè un'autodisciplina.
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