In un'azienda-nazione, che ha disponibile molta mano d'opera e poche materie prime (ciò che è discutibile, perché ogni nazione-azienda «si crea» la propria materia prima) il motto: «Qualità!» significa solo la volontà di impiegare molto lavoro su poca materia, perfezionando il prodotto all'estremo, cioè la volontà di specializzarsi per un mercato di lusso. Ma è ciò possibile per un'intiera nazione molto popolosa?
Dove esiste molta materia prima sono possibili i due indirizzi, qualitativo e quantitativo, mentre non esiste reciproca per i cosí detti paesi poveri. La produzione quantitativa può essere anche qualitativa, cioè fare la concorrenza all'industria puramente qualitativa, tra quella parte della classe consumatrice di oggetti «distinti» che non è tradizionalista perché di nuova formazione. Tali appunti sono validi se si accetta il criterio della «qualità» cosí come è posto comunemente e che non è un criterio razionale: in realtà si può parlare di «qualità» solo per le opere d'arte individue e non riproducibili, tutto ciò che è riproducibile rientra nel regno della «quantità» e può essere fabbricato in serie.
Si può osservare inoltre: se una nazione si specializza nella produzione «qualitativa», quale industria procurerà gli oggetti di consumo delle classi povere? Si promuoverà una situazione di divisione internazionale del lavoro? Si tratta di niente altro che di una formula da letterati perdigiorno e di politici la cui demagogia consiste nel costruire castelli in aria. La qualità dovrebbe essere attribuita agli uomini e non alle cose: e la qualità umana si eleva e si raffina nella misura in cui l'uomo soddisfa un maggior numero di bisogni e se ne rende quindi indipendente.
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