L'interesse del lavoratore per il contenuto intellettuale del testo si misura dai suoi errori, cioè è una deficienza professionale: la sua qualifica è proprio commisurata dal suo disinteressamento intellettuale, cioè dal suo «meccanizzarsi». Il copista medioevale che si interessava al testo, mutava l'ortografia, la morfologia, la sintassi del testo ricopiato, tralasciava periodi interi che non comprendeva, per la sua scarsa cultura, il corso dei pensieri suscitati in lui dall'interesse per il testo lo portava a interpolare glosse e avvertenze; se il suo dialetto o la sua lingua erano diversi da quelli del testo, egli introduceva sfumature alloglottiche; era un cattivo amanuense perché in realtà «rifaceva» il testo. La lentezza dell'arte scrittoria medioevale spiega molte di queste deficienze: c'era troppo tempo per riflettere e quindi la «meccanizzazione» era piú difficile. Il tipografo deve essere molto rapido, deve tenere in continuo movimento le mani e gli occhi e ciò rende piú facile la sua meccanizzazione. Ma a pensarci bene, lo sforzo che questi lavoratori devono fare per isolare dal contenuto intellettuale del testo, talvolta molto appassionante (e allora infatti si lavora meno e peggio), la sua simbolizzazione grafica e applicarsi solo a questa, è lo sforzo forse piú grande che sia richiesto da un mestiere. Tuttavia esso viene fatto e non ammazza spiritualmente l'uomo. Quando il processo di adattamento è avvenuto, si verifica in realtà che il cervello dell'operaio, invece di mummificarsi, ha raggiunto uno stato di completa libertà. Si è completamente meccanizzato solo il gesto fisico; la memoria del mestiere, ridotto a gesti semplici ripetuti con ritmo intenso, si è «annidata» nei fasci muscolari e nervosi che ha lasciato il cervello libero e sgombro per altre occupazioni.
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