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      In sostanza si vuole che, per non rovinare nessuno, si prenda come punto di partenza per fissare il prezzo massimo del grano la produttività delle terre improduttive. Il dazio protettivo sul grano ha spinto molti nelle campagne a seminare in terre mezzo sterili nella sicurezza di un tenue guadagno procurato dallo Stato, artificialmente, per la solita ragione dell'incremento dei prodotti nazionali. Lo stato di monopolio creato dalla guerra, che da 29 franchi ha portato il grano a piú di 40 franchi, serve a creare l'illusione che anche seminando sulla sabbia ci sia da guadagnare sempre abbastanza. Intanto però gli agrari della Valle Padana, che non seminano sulla sabbia, ma nelle fertili ed irrigate terre della Lombardia e dell'Emilia specialmente, realizzano dei guadagni favolosi, che trovano solo riscontro nei superprofitti di guerra degli industriali. È molto comodo per questi signori sfruttare il fatto compiuto della coltura a grano di terre improduttive per insinuare che il prezzo massimo deve essere fissato per assicurare ai poveri contadini un reddito equo, ma, a costo di dovere assumere degli atteggiamenti apparentemente antipatici e odiosi, è necessario che il proletario, specialmente urbano, reagisca contro queste campagne tendenziose.
      Potrà essere titolo d'onore del proletario urbano l'aver contribuito, con questa sua resistenza alle nuove domande affamatrici degli speculatori del pane quotidiano, a trasformare una gran parte dell'economia agricola italiana anacronistica e decrepita.


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La questione meridionale
di Antonio Gramsci
pagine 117

   





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