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      Verso le opposizioni si era orientata all'inizio anche l'opinione della grande maggioranza del proletariato. Era dovere di noi comunisti cercare di impedire che un tale stato di cose si consolidasse permanentemente. Perciò il nostro gruppo parlamentare entrò a far parte del Comitato delle opposizioni accettando e mettendo in rilievo il carattere precipuo che la crisi politica assumeva di esistenza di due poteri, di due parlamenti. Se avessero voluto compiere il loro dovere, cosí come era indicato dalle masse in movimento, le opposizioni avrebbero dovuto dare una forma politica definita allo stato di cose obiettivamente esistente, ma esse si rifiutarono. Sarebbe stato necessario lanciare un appello al proletariato, che solo è in grado di sostanziare un regime democratico, sarebbe stato necessario approfondire il movimento spontaneo di scioperi che andava delineandosi. Le opposizioni ebbero paura di essere travolte da una possibile insurrezione operaia: non vollero perciò uscire dal terreno puramente parlamentare nelle questioni politiche e dal terreno del processo per l'assassinio dell'on. Matteotti nella campagna per tenere desta l'agitazione nel paese. I comunisti, che non potevano accettare una diffidenza di principio contro l'azione proletaria, che non potevano accettare la forma di blocco di partiti data al Comitato delle opposizioni, furono messi alla porta.
      La nostra partecipazione in un primo tempo al comitato e la nostra uscita in un secondo tempo hanno avuto come conseguenza:


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La questione meridionale
di Antonio Gramsci
pagine 117

   





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