Alla fusione si sarebbe arrivati piú tardi, quando il processo del predominio del raggruppamento comunista si fosse sviluppato sulla scala piú larga nel campo della organizzazione di partito, della organizzazione sindacale e dell'apparato statale, e cioè con la separazione organica e politica degli operai rivoluzionari dai capi opportunisti.
Per l'Italia il problema si poneva in termini ancora più semplici che in Ungheria, perché, non solo il proletariato non aveva conquistato il potere, ma iniziava, proprio nel momento della formazione del partito, un grande movimento di ritirata. Porre in Italia la questione della formazione del partito, cosí com'era stato indicato dal compagno Lenin nella sua formula espressa a Serrati, significava — nell'arretramento del proletariato che si iniziava allora — dare la possibilità al nostro partito di raggruppare intorno a sé quegli elementi del proletariato che avrebbero voluto resistere, ma che sotto la direzione massimalista erano travolti nella rotta generale e cadevano progressivamente nella passività. Ciò significa che la tattica suggerita da Lenin e dalla Internazionale era l'unica capace di rafforzare e sviluppare i risultati della scissione di Livorno, e di fare veramente del nostro partito, fin d'allora, non solo in astratto, e come affermazione storica, ma in forma effettiva, il partito dirigente della classe operaia. Per questa falsa impostazione del problema, noi ci siamo mantenuti sulle posizioni avanzate, da soli e con la frazione di masse immediatamente piú vicine al partito, ma non abbiamo fatto quanto era necessario per mantenere sulle nostre posizioni il proletariato nel suo complesso, il quale tuttavia era ancora animato da un grande spirito di lotta, come è dimostrato da tanti episodi spesso eroici della resistenza opposta all'avanzata avversaria.
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