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      Nel campo proletario, i comunisti torinesi hanno avuto un «merito» incontrastabile: di avere imposto la quistione meridionale all'attenzione dell'avanguardia operaia, prospettandola come uno dei problemi essenziali della politica nazionale del proletariato rivoluzionario. In questo senso essi hanno contribuito praticamente a far uscire la quistione meridionale dalla sua fase indistinta, intellettualistica, cosí detta «concretista», per farla entrare in una fase nuova. L'operaio rivoluzionario di Torino e di Milano diventava il protagonista della quistione meridionale e non piú i Giustino Fortunato, i Gaetano Salvemini, gli Eugenio Azimonti, gli Arturo Labriola, per non citare che il nome dei santoni cari ai «giovani» del Quarto Stato.
      I comunisti torinesi si erano posti concretamente la quistione dell'«egemonia del proletariato», cioè della base sociale della dittatura proletaria e dello Stato operaio. Il proletariato può diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classi che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice, ciò che significa, in Italia, nei reali rapporti di classe esistenti in Italia, nella misura in cui riesce a ottenere il consenso delle larghe masse contadine. Ma la quistione contadina in Italia è storicamente determinata, non è la «quistione contadina e agraria in generale»; in Italia la quistione contadina ha, per la determinata tradizione italiana, per il determinato sviluppo della storia italiana, assunto due forme tipiche e peculiari, la quistione meridionale e la quistione vaticana.


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La questione meridionale
di Antonio Gramsci
pagine 117

   





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