I comunisti sardi, in numero preciso di otto, si recarono alla riunione, presentarono alla presidenza una loro mozione, domandarono di fare una controrelazione. Dopo il discorso infiammato e retorico del relatore ufficiale, adorno di tutte le veneri e gli amorini dell'oratoria regionalistica, dopo che gli intervenuti avevano pianto ai ricordi dei dolori passati e del sangue versato in guerra dai reggimenti sardi, e si erano entusiasmati fino al delirio alla idea del blocco compatto di tutti i figli generosi della Sardegna, era molto difficile «piazzare» la controrelazione; le previsioni piú ottimistiche erano, se non il linciaggio, per lo meno una passeggiata fino in questura dopo essere stati salvati dalle conseguenze del «nobile sdegno della folla». La controrelazione, se suscitò una enorme stupefazione, fu però ascoltata con attenzione, e una volta rotto l'incanto, rapidamente, se pur metodicamente, si giunse alla conclusione rivoluzionaria. Il dilemma: siete voi, poveri diavoli di sardi, per un blocco coi signori di Sardegna che vi hanno rovinato e sono i sorveglianti locali dello sfruttamento capitalistico o siete per un blocco con gli operai rivoluzionari del continente che vogliono abbattere tutti gli sfruttamenti ed emancipare tutti gli appressi? — questo dilemma fu fatto penetrare nei cervelli dei presenti. Il voto per divisione fu un formidabile successo: da una parte un gruppetto di signore sgargianti, di funzionari in tuba, di professionisti lividi dalla rabbia e dalla paura con una quarantina di poliziotti per contorno di consenso e dall'altra tutta la moltitudine dei poveri diavoli e delle donnette vestite da festa intorno alla piccolissima cellula comunista.
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