Il metallurgico, il falegname, l'edile, ecc. devono non solo pensare come proletari e non piú come metallurgico, falegname, edile, ecc., ma devono fare ancora un passo avanti: devono pensare come operai membri di una classe che tende a dirigere i contadini e gli intellettuali, di una classe che può vincere e può costruire il socialismo solo se aiutata e seguita dalla grande maggioranza di questi strati sociali. Se non si ottiene ciò, il proletariato non diventa classe dirigente, e questi strati, che in Italia rappresentano la maggioranza della popolazione, rimanendo sotto la direzione borghese, dànno allo Stato la possibilità di resistere all'impeto proletario e di fiaccarlo.
Ebbene: ciò che si è verificato nel terreno della quistione meridionale dimostra che il proletariato ha compreso questi suoi doveri. Due fatti sono da ricordare: uno verificatosi a Torino, l'altro a Reggio Emilia, cioè nella cittadella del riformismo, del corporativismo di classe, del protezionismo operaio portato ad esempio dai «meridionalisti» nella loro propaganda tra i contadini del Sud.
Dopo l'occupazione delle fabbriche, la direzione della Fiat fece la proposta agli operai di assumere la gestione dell'azienda in forma di cooperativa. Come è naturale, i riformisti erano favorevoli. Si profilava una crisi industriale. Lo spettro della disoccupazione angosciava le famiglie operaie. Se la Fiat diventava cooperativa, una certa sicurezza dell'impiego avrebbe potuto essere acquistata dalla maestranza e specialmente dagli operai politicamente piú attivi, che erano persuasi di essere destinati al licenziamento.
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