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      Tutto questo complesso spiega il perché nel Mezzogiorno il partito popolare (eccettuata qualche zona della Sicilia) non abbia una posizione notevole, non abbia posseduto nessuna rete di istituzioni e di organizzazioni di massa. L'atteggiamento del contadino verso il clero è riassunto nel detto popolare: «Il prete è prete sull'altare; fuori è un uomo come tutti gli altri».
     
      Il contadino meridionale è legato al grande proprietario terriero per il tramite dell'intellettuale. I movimenti dei contadini, in quanto si riassumono non in organizzazioni di massa autonome e indipendenti sia pure formalmente (cioè capaci di selezionare quadri contadini di origine contadina e di registrare e accumulare le differenziazioni e i progressi che nel movimento si realizzano) finiscono col sistemarsi sempre nelle ordinarie articolazioni dell'apparato statale — comuni, province, Camera dei deputati — attraverso composizioni e scomposizioni dei partiti locali, il cui personale è costituito di intellettuali, ma che sono controllati dai grandi proprietari e dai loro uomini di fiducia, come Salandra, Orlando, di Cesarò. La guerra parve introdurre un elemento nuovo in questo tipo di organizzazione col movimento degli ex combattenti, nel quale i contadini-soldati e gli intellettuali-ufficiali formavano un blocco piú unito tra di loro e in una certa misura antagonistico coi grandi proprietari. Non durò a lungo e l'ultimo residuo di esso è l'Unione nazionale concepita da Amendola, che ha una larva di esistenza per il suo antifascismo; tuttavia, data la nessuna tradizione di organizzazione esplicita degli intellettuali democratici nel Mezzogiorno, anche questo aggruppamento deve essere rilevato e tenuto da conto, perché può diventare, da tenuissimo filo d'acqua, un limaccioso e gonfio torrente in mutate condizioni di politica generale.


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La questione meridionale
di Antonio Gramsci
pagine 117

   





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