In realtà, per essere di un partito bastavano poche idee vaghe, imprecise, indeterminate, sfumate: ogni selezione era impossibile, ogni meccanismo di selezione mancava e le masse dovevano seguire questi partiti perché altri non ne esistevano.
Tra gli altri elementi che mostrano manifestamente questo apoliticismo sono da ricordare i tenaci residui di campanilismo e altre tendenze che di solito sono catalogate come manifestazioni di un cosí detto «spirito rissoso e fazioso» (lotte locali per impedire che le ragazze facciano all’amore con giovanotti «forestieri», cioè anche di paesi vicini, ecc.). Quando si dice che questo primitivismo è stato superato dai progressi della civiltà, occorrerebbe precisare che ciò è avvenuto per il diffondersi di una certa vita politica di partito che allargava gli interessi intellettuali e morali del popolo. Venuta a mancare questa vita, i campanilismi sono rinati, per esempio attraverso lo sport e le gare sportive, in forme spesso selvagge e sanguinose. Accanto al «tifo» sportivo, c’è il «tifo campanilistico» sportivo.
[Popolarità politica di D’Annunzio.] Come si spiega la relativa popolarità «politica» di Gabriele D’Annunzio? È innegabile che in D’Annunzio sono sempre esistiti alcuni elementi di «popolarismo»: dai suoi discorsi come candidato al Parlamento, dal suo gesto nel Parlamento, nella tragedia La Gloria, nel Fuoco (discorso su Venezia e l’artigianato), nel Canto di calendimaggio e giú giú fino alle manifestazioni (alcune almeno) politiche fiumane.
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