Tuttavia, al di sotto di queste motivazioni momentanee e d’occasione pare si debba anche porre un motivo piú profondo e permanente, legato a un carattere permanente del popolo italiano: l’ammirazione ingenua e fanatica per l’intelligenza come tale, per l’uomo intelligente come tale, che corrisponde al nazionalismo culturale degli italiani, forse unica forma di sciovinismo popolare in Italia. Per apprezzare questo nazionalismo bisogna pensare alla Scoperta dell’America di Pascarella: il Pascarella è l’«aedo» di questo nazionalismo e il suo tono canzonatorio è il piú degno di tale epopea. Questo sentimento è diversamente forte nelle varie parti d’Italia (è piú forte in Sicilia e nel Mezzogiorno), ma è diffuso da per tutto in una certa dose, anche a Milano e a Torino (a Torino certo meno che a Milano e altrove): è piú o meno ingenuo, piú o meno fanatico, anche piú o meno «nazionale» (si ha l’impressione, per esempio, che a Firenze sia piú regionale che altrove, e cosí a Napoli, dove è anche di carattere piú spontaneo e popolare in quanto i napoletani credono di essere piú intelligenti di tutti come massa e singoli individui; a Torino poche «glorie» letterarie e piú tradizione politico-nazionale, per la tradizione ininterrotta di indipendenza e libertà nazionale). D’Annunzio si presentava come la sintesi popolare di tali sentimenti: «apoliticità» fondamentale, nel senso che da lui ci si poteva aspettare tutti i fini immaginabili, dal piú sinistro al piú destro, e l’essere D’Annunzio ritenuto popolarmente l’uomo piú intelligente d’Italia.
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