La politica di D’Annunzio. Sono interessanti alcune pagine del volume Per l’Italia degli italiani, Milano, «Bottega di Poesia», 1923. In un punto, ricorda la sua tragedia La Gloria e se ne richiama per la sua politica verso i contadini che devono «regnare» perché sono i «migliori». Concetti politici reali, neanche uno: frasi ed emozioni, ecc.
A proposito delle duemila lire date per gli affamati della carestia del 1921, cerca, in fondo, di farle dimenticare, presentando l’offerta come un tratto di politica «machiavellica»: avrebbe dato per ringraziare di aver liberato il mondo da un’illusione, ecc... Si potrebbe studiare la politica di D’Annunzio come uno dei tanti ripetuti tentativi di letterati (Pascoli, ma forse bisogna risalire a Garibaldi) per promuovere un nazionalsocialismo in Italia (cioè per condurre le grandi masse all’«idea» nazionale o nazionalista-imperialista).
[«Sovversivo».] Il concetto prettamente italiano di «sovversivo» può essere spiegato cosí: una posizione negativa e non positiva di classe: il «popolo» sente che ha dei nemici e li individua solo empiricamente nei cosí detti signori (nel concetto di «signore» c’è molto della vecchia avversione della campagna per la città, e il vestito è un elemento fondamentale di distinzione: c’è anche l’avversione contro la burocrazia, in cui si vede unicamente lo Stato: il contadino - anche il medio proprietario - odia il «funzionario», non lo Stato, che non capisce, e per lui è questo il «signore» anche se economicamente il contadino gli è superiore, onde l’apparente contraddizione per cui per il contadino il signore è spesso un «morto di fame»). Quest’odio «generico» è ancora di tipo «semifeudale», non moderno, e non può essere portato come documento di coscienza di classe: ne è appena il primo barlume, è solo appunto la posizione negativa e polemica elementare: non solo non si ha coscienza esatta della propria personalità storica, ma non si ha neanche coscienza della personalità storica e dei limiti precisi del proprio avversario.
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