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      Le elezioni erano fatte su quistioni molto generiche, perché i deputati rappresentavano posizioni personali e locali, non posizioni di partiti nazionali.
      Ogni elezione sembrava essere quella per una costituente e nello stesso tempo sembrava essere quella per un club di cacciatori. Lo strano è che tutto ciò pareva essere il massimo della democrazia.
     
     
      [«La morale dei re».] Ricordare il saggio pubblicato da Gino Doria (nella «Nuova Italia» del 1930) in cui si sostiene che la morale e i comportamenti dei re sono unicamente in rapporto agli interessi della dinastia, ed in funzione di questa debbono essere giudicati. Il Doria è napoletano ed è da notare come i teorici piú ortodossi della monarchia siano sempre stati napoletani (De Meis, per esempio). Il Doria scrisse il saggio in occasione del cosí detto anno carlalbertino, quando si ridiscusse la figura di Carlo Alberto ecc., ma forse le sue intenzioni erano piú estensive e comprensive. Ma cosa significa la formula del Doria? Non è poi essa una vacua generalità? E corrisponde alla propaganda che è stata fatta per rafforzare l’istituto monarchico e che ha creato l’«ortodossia»? La tesi del Doria è un riflesso della tesi del Maurras, che poi dipende dalla concezione dello «Stato patrimoniale».
     
     
      [Concezioni monarchiche.] Sarebbe interessante un confronto tra le concezioni monarchiche militanti proprie dell’Italia meridionale e di quella settentrionale. Per il Mezzogiorno si può risalire allo scritto di C. De Meis sul Sovrano, fino al saggio di Gino Doria pubblicato nella «Nuova Italia» qualche anno fa.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364

   





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