Questa situazione, per essere apprezzata, deve essere paragonata alle aspirazioni del Risorgimento per rispetto all’esercito, di cui si può vedere un’espressione nel libro di Giuseppe Cesare Abba dedicato ai soldati, libro divenuto ufficiale, premiato, ecc. L’Abba, con la sua corrente, pensava all’esercito come a un istituto che doveva inserire le forze popolari nella vita nazionale e statale, in quanto l’esercito rappresentava la nazione in armi, la forza materiale su cui poggiava il costituzionalismo e la rappresentanza parlamentare, la forza che doveva impedire i colpi di Stato e le avventure reazionarie: il soldato doveva diventare il soldato-cittadino, e l’obbligo militare non doveva essere concepito come un servizio, ma invece attivamente, come l’esercizio di un diritto, della libertà popolare armata. Utopie, evidentemente, perché, come appare dal libro del De Bono, si ricadde nell’apoliticismo, quindi l’esercito non fu che un nuovo tipo di esercito professionale e non di esercito nazionale, poiché questo e niente altro significa l’apoliticismo. Per le «forze dell’ordine» questo stato di cose era l’ideale: quanto meno il popolo partecipava alla vita politica statale, tanto piú queste forze erano forze. Ma come giudicare dei partiti che continuavano il Partito d’Azione! E ciò che si dice dell’esercito si può estendere a tutto il personale impiegato dall’apparato statale, burocrazia, magistratura, polizia, ecc. Un’educazione «costituzionale» del popolo non poteva essere fatta dalle forze dell’ordine: essa era compito del Partito d’Azione, che fallí completamente ad esso; anzi fu un elemento per rincalzare l’atteggiamento delle forze dell’ordine.
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