Giolitti ottenne questo con le leggi liberali sulla libertà di associazione e di sciopero, ed è da notare come nelle sue Memorie egli insista specialmente sulla miseria dei contadini e sulla grettezza dei proprietari. Ma Giolitti non creò nulla: egli «capí» che occorreva concedere a tempo per evitare guai peggiori e per controllare lo sviluppo politico del paese, e ci riuscí. In realtà, Giolitti fu un grande conservatore e un abile reazionario, che impedí la formazione di un’Italia democratica, consolidò la monarchia con tutte le sue prerogative e legò la monarchia piú strettamente alla borghesia attraverso il rafforzato potere esecutivo che permetteva di mettere al servizio degli industriali tutte le forze economiche del paese. È Giolitti che ha creato cosí la struttura contemporanea dello Stato italiano e tutti i suoi successori non hanno fatto altro che continuare l’opera sua, accentuando questo o quell’elemento subordinato.
Che Giolitti abbia screditato il parlamentarismo è vero, ma non proprio nel senso che sostengono molti critici: Giolitti fu antiparlamentarista, e sistematicamente cercò di evitare che il governo diventasse di fatto e di diritto un’espressione dell’assemblea nazionale (che in Italia poi era imbelle per l’esistenza del Senato cosí come è organizzato); cosí si spiega che Giolitti fosse l’uomo delle «crisi extraparlamentari». Che il contrasto tra il Parlamento come si pretendeva fosse e come era realmente, cioè poco meno di nulla, abbia screditato il parlamentarismo, era inevitabile avvenisse: ma è la lotta contro il parlamentarismo da parte di Giolitti, e non l’essere egli parlamentarista, che ha screditato il parlamentarismo.
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