Dunque, non teoria della «rivoluzione passiva» come programma, come fu nei liberali italiani del Risorgimento, ma come criterio di interpretazione, in assenza di altri elementi attivi in modo dominante. (Quindi lotta contro il morfinismo politico che esala da Croce e dal suo storicismo). (Pare che la teoria della rivoluzione passiva sia un necessario corollario critico dell’Introduzione alla critica dell’economia politica). Revisione di alcuni concetti settari sulla teoria dei partiti, che appunto rappresentano una forma di fatalismo del tipo «diritto divino». Elaborazione dei concetti del partito di massa e del piccolo partito di élite e mediazione tra i due. (Mediazione teorica e pratica: teoricamente può esistere un gruppo, relativamente piccolo, ma sempre notevole, per esempio di qualche migliaia di persone, omogeneo socialmente e ideologicamente, senza che la sua stessa esistenza dimostri una vasta condizione di cose e di stati d’animo corrispondenti, che non possono esprimersi solo per cause meccaniche estranee e perciò transitorie?)
[Interventisti e socialisti.] A questo saggio appartengono le osservazioni altrove scritte sui tipi «strani» che circolavano nel partito e nel movimento operaio: Ciccotti-Scozzese, Gatto-Roissard ecc. Nessuna politica interna di partito, nessuna politica organizzativa, nessun controllo sugli uomini. Però abbondante demagogia contro gli interventisti anche se stati interventisti da giovanissimi. La mozione per cui si stabiliva che gli interventisti non potevano essere ammessi nel partito fu solo un mezzo di ricatto e di intimidazione individuale e un’affermazione demagogica.
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