Si tratta, come si vede, di due ordini di fatti e di osservazioni: 1°) Che uomini il cui pensiero sia fondamentalmente identico, dopo aver vissuto staccati e in condizioni di vita tanto diverse, finiscono col durar fatica ad intendersi, creandosi cosí la necessità di un periodo di lavoro comune, necessario per riaccordarsi allo stesso diapason. Se non si capisce questa necessità si incorre nel rischio banale di impostare polemiche senza sugo, su quistioni di «vocabolario», quando ben altro occorrerebbe fare. Ciò rinforza il principio che in ogni movimento il grado di preparazione del personale non deve essere inteso astrattamente (come fatto esteriormente culturale, di elevazione culturale), ma come preparazione «concorde» e coordinata, in modo che nel personale, come visione, esista identità nel modo di ragionare e quindi rapidità di intendersi per operare di concerto con speditezza. 2°) Che non solo due campi nemici non si comprenderanno piú per lungo tempo dopo la fine della lotta, ma non si comprenderanno neanche gli elementi affini tra loro che esistono nei due campi come massa e che dopo la lotta dovrebbero amalgamarsi rapidamente. Che non bisogna pensare che, data l’affinità, la riunione sia per avvenire automaticamente, ma occorre predisporla con un lavoro di lunga mano su tutta l’area, cioè in tutta l’estensione del dominio culturale e non astrattamente, cioè partendo da principî generali sempre validi, ma concretamente, sull’esperienza dell’immediato passato e dell’immediato presente, da cui i principî devono sembrar scaturire come ferrea necessità, e non come a priori.
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