[Il lavoratore collettivo.] Nell’esposizione critica degli avvenimenti successivi alla guerra e dei tentativi costituzionali (organici) per uscire dallo stato di disordine e di dispersione delle forze, mostrare come il movimento per valorizzare la fabbrica, in contrasto (o meglio autonomamente) con la (dalla) organizzazione professionale, corrispondesse perfettamente all’analisi che dello sviluppo del sistema di fabbrica è fatta nel primo volume della Critica dell’economia politica. Che una sempre piú perfetta divisione del lavoro riduca oggettivamente la posizione del lavoratore nella fabbrica a movimenti di dettaglio sempre piú «analitici», in modo che al singolo sfugge la complessità dell’opera comune, e nella sua coscienza stessa il proprio contributo si deprezzi fino a sembrare sostituibile facilmente in ogni istante; che nello stesso tempo il lavoro concertato e bene ordinato dia una maggiore produttività «sociale» e che l’insieme della maestranza della fabbrica debba concepirsi come un «lavoratore collettivo», sono i presupposti del movimento di fabbrica che tende a fare diventare «soggettivo» ciò che è dato «oggettivamente». Cosa poi vuol dire in questo caso oggettivo? Per il lavoratore singolo «oggettivo» è l’incontrarsi delle esigenze dello sviluppo tecnico con gli interessi della classe dominante. Ma questo incontro, questa unità tra sviluppo tecnico e gli interessi della classe dominante è solo una fase storica dello sviluppo industriale, deve essere concepito come transitorio.
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Critica
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