Ma praticamente? «Concio» per «concio» tanto valeva tirarsi indietro, rientrare nel buio, nell’indistinto. Qualcosa è cambiato, perché c’è chi si adatta «filosoficamente» ad essere concio, che sa di doverlo essere, e si adatta. È come la quistione dell’uomo in punto di morte, come si dice. Ma c’è una grande differenza, perché in punto di morte si è ad un atto decisivo che dura un attimo; invece, nella quistione del concio, la quistione dura a lungo, e si ripresenta ogni momento. Si vive una volta sola, come si dice; la propria personalità è insostituibile. Non si presenta, per giocarla, una scelta spasmodica, di un istante, in cui tutti i valori sono apprezzati fulmineamente e si deve decidere senza rinvio. Qui il rinvio è di ogni istante e la decisione deve ripetersi ogni istante. Perciò si dice che qualcosa è cambiato. Non è neanche la quistione di vivere un giorno da leone o cento anni da pecora. Non si vive da leone neppure un minuto, tutt’altro: si vive da sottopecora per anni e anni e si sa di dover vivere cosí. L’immagine di Prometeo che, invece di essere aggredito dall’aquila, è invece divorato dai parassiti. Giobbe l’hanno potuto immaginare gli Ebrei: Prometeo potevano solo immaginarlo i Greci; ma gli Ebrei sono stati piú realisti, piú spietati, e anche hanno dato una maggiore evidenza al loro eroe.
L’on. De Vecchi. Confrontare nella «Gerarchia» dell’ottobre 1928 l’articolo di Umberto Zamboni, La marcia su Roma. Appunti inediti. L’azione della colonna Zamboni, dove si dice che il De Vecchi, solo tra i quadrumviri, era rimasto a Roma «per tentare ancora l’estremo tentativo di una soluzione pacifica». L’affermazione è da confrontare con l’articolo di Michele Bianchi, nel numero unico di «Gerarchia» dedicato alla marcia su Roma e in cui si parla del De Vecchi in forma abbastanza strana.
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