Insomma, lo sviluppo del capitalismo è stata una «continua crisi», se cosí si può dire, cioè un rapidissimo movimento di elementi che si equilibravano ed immunizzavano. Ad un certo punto, in questo movimento, alcuni elementi hanno avuto il sopravvento, altri sono spariti o sono divenuti inetti nel quadro generale. Sono allora sopravvenuti avvenimenti ai quali si dà il nome specifico di «crisi», che sono piú gravi, meno gravi appunto secondo che elementi maggiori o minori di equilibrio si verificano. Dato questo quadro generale, si può studiare il fenomeno nei diversi piani e aspetti: monetario, finanziario, produttivo, del commercio interno, del commercio internazionale, ecc., e non è detto che ognuno di questi aspetti, data la divisione internazionale del lavoro e delle funzioni nei vari paesi, non sia apparso prevalente o manifestazione massima. Ma il problema fondamentale è quello produttivo; e, nella produzione, lo squilibrio tra industrie progressive (nelle quali il capitale costante è andato aumentando) e industrie stazionarie (dove conta molto la mano d’opera immediata). Si comprende che, avvenendo anche nel campo internazionale una stratificazione tra industrie progressive e stazionarie, i paesi dove le industrie progressive sovrabbondano hanno sentito piú la crisi, ecc. Onde illusioni varie dipendenti dal fatto che non si comprende che il mondo è una unità, si voglia o non si voglia, e che tutti i paesi, rimanendo in certe condizioni di struttura, passeranno per certe «crisi». (Per tutti questi argomenti sarà da vedere la letteratura della Società delle Nazioni, dei suoi esperti e della sua commissione finanziaria, che servirà almeno ad avere dinanzi tutto il materiale sulla quistione, cosí anche le pubblicazioni delle piú importanti riviste internazionali e delle Camere dei deputati).
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