Per le prospettive generali di questi istituti, è da tener conto innanzi tutto della particolare funzione svolta dallo Stato italiano in ogni tempo nell’economia, in sostituzione della cosí detta iniziativa privata o assente o «diffidata» dai risparmiatori. La quistione «economica» potrebbe esser questa: se tali istituti non rappresentino una spesa gravosa in confronto di ciò che sarebbe se la loro funzione fosse svolta dall’iniziativa privata. Pare questo un falso problema, e non è: certo, in quanto manca l’attore privato di una certa funzione e questa è necessaria per svecchiare la vita nazionale, è meglio che lo Stato si assuma la funzione. Ma conviene dirlo apertamente, cioè dire che non si tratta della realizzazione di un progresso effettivo, ma della constatazione di una arretratezza cui si vuole ovviare «ad ogni costo» e pagandone lo scotto. Non è neanche vero che se ne paga lo scotto una volta per tutte: lo scotto che si paga oggi non eviterà di pagare un altro scotto quando dalla nazionalizzazione, per rimediare a una certa arretratezza, si passerà alla nazionalizzazione come fase storica organica e necessaria nello sviluppo dell’economia verso una costruzione programmatica. La fase attuale è quella corrispondente, in un certo senso, alle monarchie illuminate del Settecento. Di moderno ha la terminologia esteriore e meccanica, presa da altri paesi dove questa fase è realmente moderna e progressiva.
Nazionalizzazioni. Cfr. l’articolo di A. De Stefani nel «Corriere» del 16 marzo ’32 (La copertura delle perdite): «Anche in tempi ordinari negli attuali regimi protezionistici, è tutta la nazione che concorre a pareggiare sistematicamente i bilanci delle aziende e a formare i loro utili.
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