I giovani, diretti attivamente nelle direzioni che la vita moderna indica, risultano immuni da ogni possibile ritorno ad una religiosità dommatica dissolvente».
Pare che questa serie di affermazioni non sia altro che il programma stesso del «Saggiatore», e questo pare piuttosto una curiosità che una cosa seria. È, in fondo, un ripensamento popolaresco del «superuomo», nato dalle piú recenti esperienze della vita nazionale, un «superuomo» strapaesano, da circolo dei signori e da farmacia filosofica. Se si riflette, significa che la nuova generazione è diventata, sotto l’aspetto di un volontarismo estremo, della massima abulicità. Non è vero che non abbia ideali: questi solo sono tutti contenuti nel codice penale, che si suppone fatto una volta per sempre nel suo complesso. Significa anche che manca nel paese ogni direzione culturale all’infuori di quella cattolica, ciò che farebbe supporre che per lo meno l’ipocrisia religiosa debba finire per incrementarsi. Sarebbe tuttavia interessante sapere di quale nuova generazione il «Saggiatore» intenda parlare.
Pare che l’«originalità» del «Saggiatore» consista nello aver trasportato alla «vita» il concetto di «esperienza» proprio non già della scienza ma dell’operatore da gabinetto scientifico. Le conseguenze di questa meccanica trasposizione sono poco brillanti: esse corrispondono a ciò che era abbastanza noto col nome di «opportunismo» o di mancanza di principî (ricordare certe interpretazioni giornalistiche del relativismo di Einstein quando, nel 1921, questa teoria diventò preda dei giornalisti). Il sofisma consiste in ciò: che, quando l’operatore da gabinetto «prova e riprova», il suo riprovare ha conseguenze limitate allo spazio dei provini e alambicchi: egli «riprova» fuori di sé, senza dare di se stesso all’esperimento altro che l’attenzione fisica e intellettuale.
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Einstein
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