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      Ma nei rapporti tra gli uomini le cose si comportano ben diversamente e le conseguenze sono di ben diversa portata. L’uomo trasforma il reale e non si limita a esaminarlo sperimentalmente in vitro per riconoscerne le leggi di regolarità astratta. Non si dichiara una guerra per «esperimento», né si sovverte l’economia di un paese, ecc., per trovare le leggi del migliore assetto sociale possibile. Che nel costruire i propri piani di trasformazione della vita occorra basarsi sull’esperienza, cioè sull’esatto rilievo dei rapporti sociali esistenti e non su vuote ideologie o generalità razionali, non importa che non si debbano avere principî, che non sono altro che esperienza messa in forma di concetti o di norme imperative. La filosofia del «Saggiatore», oltre che una reazione plausibile all’ubriacatura attualistica e religiosa, è però essenzialmente connessa a tendenze conservatrici e passive e in realtà contiene la piú alta «reverenzialità» per l’esistente, cioè per il passato cristallizzato. In un articolo di Giorgio Granata (nel «Saggiatore», riferito nella «Critica Fascista» del 1° maggio 1933) ci sono molti spunti di tale filosofia: per il Granata, la concezione del «partito politico» con il suo «programma «utopico, «come mondo del dover essere (!) di fronte al mondo dell’essere, della realtà», ha fatto il suo tempo, e perciò la Francia sarebbe «inattuale»: come se proprio la Francia non avesse sempre nell’Ottocento dato l’esempio del piú piatto opportunismo politico, cioè del servilismo a ciò che esiste, alla realtà, cioè ai «programmi» in atto di forze ben determinate e identificabili.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364

   





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