Ricordare l’aneddoto di Oriani che, domandato se aveva da daziare, risponde: «Se l’intelligenza paga dazio, qui ce n’è a quintali». Sarà da notare che tale atteggiamento è degli intellettuali mediocri e falliti.
[L’Accademia d’Italia.] Sull’impressione reale che ha fatto l’inizio d’attività dell’Accademia d’Italia confrontare l’«Italia Letteraria» del 15 giugno 1930, La prima seduta pubblica dell’Accademia d’Italia. In un articolo editoriale si critica acerbamente il modo con cui l’Accademia d’Italia ha distribuito la somma di un milione che era a sua disposizione per aiutare le patrie lettere, in 150 premiati: la distribuzione pare abbia assunto l’aspetto di una elargizione tipo minestra da convento; in altro pezzo Cronaca per la Storia di Antonio Aniante, presenta la seduta come se fosse l’assemblea di un consiglio comunale di città provinciale.
Nella «Nuova Antologia» del 1° novembre 1929 sono pubblicati i discorsi inaugurali del Capo del Governo e di Tittoni.
Il rutto del pievano e altre strapaesanerie. Cesare De Lollis (Reisebilder, pp. 8 e sgg.) scrive alcune note interessanti sui rapporti tra «minoranza» che fece l’Italia, e popolo: «...non molti giorni or sono mi capitò di leggere in un giornale quotidiano che da tempo l’Italia si dava troppo pensiero delle scuole elementari e popolari in genere (tra i principali responsabili si designava il Credaro), laddove è l’educazione delle classi superiori che bisogna curare nell’interesse vero della nazione. Or con questo si torna o si vorrebbe tornare al concetto dell’educazione come privilegio di classe; concetto del tutto ancien régime, la Controriforma compresa, che si guardò bene anch’essa dall’avvicinare la cultura alla vita, e quindi al popolo.
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