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      Certo non è escluso che non ci sia nulla di male a che un capitano si salvi per il primo. Ma se questa constatazione diventasse un principio, quale garanzia si avrebbe che il capitano ha fatto di tutto: 1) perché il naufragio non avvenga; 2) perché, avvenuto, tutto è stato fatto per ridurre al minimo i danni delle persone e delle cose? (danni delle cose significa poi danno futuro delle persone). Solo il principio, divenuto «assoluto», che il capitano, in caso di naufragio, abbandona per ultimo la nave e anzi muore con essa, dà questa garanzia, senza cui la vita collettiva è impossibile, cioè nessuno prenderebbe impegni e opererebbe abbandonando ad altri la propria sicurezza personale. La vita moderna è fatta in gran parte di questi stati d’animo o «credenze» forti come i fatti materiali.
      La sanzione di questi mutamenti, per tornare all’argomento, è un fatto politico, non morale, dipende non da un giudizio morale, ma da uno di «necessità» per l’avvenire, nel senso che se cosí non si facesse, danni maggiori potrebbero venire: in politica è giusta una «ingiustizia» piccola per evitarne una piú grande ecc.
      Dico che è «moralmente» piú giustificabile chi si modifica «molecolarmente» (per forza maggiore, s’intende) che chi si modifica d’un tratto, sebbene di solito si ragioni diversamente. Si sente dire: «Ha resistito per cinque anni, perché non per sei? Poteva resistere un altro anno e trionfare». Intanto in questo caso si tratta del senno di poi, perché al quinto anno il soggetto non sapeva che «solo» un altro anno di sofferenze lo aspettava.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364