Artigiano - Artigianato. Da un articolo di Ugo Ojetti (Arti e artigiani d’Italia, nel «Corriere» del 10 aprile 1932) tolgo alcuni spunti: per la legge italiana è artigiano chi non occupa piú di cinque lavoranti se esercita un mestiere d’arte, piú di tre se esercita un mestiere usuale. Definizione imprecisa. «Il proprio dell’artigiano è di lavorare egli stesso con le sue mani all’arte sua o al suo mestiere. Che da lui dipendano cinque o dieci persone, ciò non muta il suo carattere d’artigiano, quello che subito lo distingue dall’industriale». Ma anche questa definizione è imprecisa, perché l’artigiano può non lavorare, ma dirigere il lavoro di una bottega: la definizione deve essere cercata nel modo di produzione e di lavoro.
In Germania esiste la patente di mestiere, che ha tre gradi come il mestiere: dell’apprendista «che noi diremmo meglio garzone o novizio», del «compagno» che ha finito il tirocinio di garzone, del «maestro».
L’Ojetti impiega la parola «compagno» per indicare il lavorante artigiano già formato professionalmente, ma questa parola come si giustifica? Non storicamente, perché in italiano non è rimasto l’uso come in francese e tedesco di una parola che un tempo aveva un significato giuridico preciso, e oggi non ha significato «professionale», ma solo di posizione «economica». Professionalmente il «compagno» è un «maestro», ma non ha la proprietà di una bottega e deve lavorare per un altro che sia appunto proprietario.
Ascari, krumiri, moretti, ecc. Venivano chiamati «ascari» i deputati delle maggioranze parlamentari senza programma e senza indirizzo, quindi sempre pronti a defezionare e a lasciare in asso i governi che si basavano su di esse; l’espressione era legata alle prime esperienze fatte in Africa con le truppe indigene mercenarie.
| |
Ugo Ojetti Arti Italia Germania Ojetti Africa
|