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      Persino il nostro concetto teologico è foggiato spesso su questo esemplare, e Dio è rappresentato talora come il grande proprietario del mondo. La ribellione contro Dio nel Paradiso perduto del Milton, come già nel poema di Dante, è figurata come il temerario tentativo di Satana o di Lucifero di spodestare l’Onnipotente e di deporlo dal suo altissimo trono. Un acuto collaboratore, anzi il direttore, un tempo, del «Hibbert Journal», (Jacks, The Universe as Philosopher, in «Hibbert Journal», ottobre 1917, p. 26) narrava d’aver assistito a una conferenza in cui la prova dell’esistenza di Dio era ricavata dalla necessità di postulare un proprietario o possessore del mondo. Come si può mai credere che una proprietà sí vasta, sí eletta e fruttifera non appartenga ad alcuno? È in sostanza la stessa domanda che fa, parlando a se medesimo, nel sublime monologo, il Pastore errante nell’Asia del Leopardi. Che ci sia stata o no, una prima causa del mondo, può rimaner dubbio. Ma la necessità di un primo possessore deve apparire manifesta e indubitabile». Il Chiappelli dimentica che anche nel Credo Dio è detto «creatore e signore (dominus: padrone, proprietario) del cielo e della terra».
     
     
      Capitalismo antico. Sul capitalismo antico o meglio sullo industrialismo antico è da leggere l’articolo di G. C. Speziale, Delle navi di Nemi e dell’archeologia navale, nella «Nuova Antologia» del 1° novembre 1930 (polemica col prof. Giuseppe Lugli, che scrisse nel «Pègaso»; articoli in giornali quotidiani dello stesso tempo). L’articolo dello Speziale è molto interessante, ma pare che egli esageri nell’importanza data alle possibilità industriali nell’antichità (confrontare la quistione sul capitalismo antico discussa nella «Nuova Rivista Storica»). Manca, mi pare, allo Speziale la nozione esatta di ciò che era la «macchina» nel mondo classico e quello che è oggi (questa osservazione vale specialmente per Barbagallo e C.). Le «novità» su cui insiste lo Speziale non escono ancora dalla definizione che della macchina dava Vitruvio, cioè di ordigni atti a facilitare il movimento e il trasporto di corpi pesanti (vedere con esattezza la definizione di Vitruvio) e perciò non sono che novità relative.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364

   





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