Un altro punto da fissare è questo: che un modo di vivere, di operare, di pensare, si sia introdotto in tutta la società perché proprio della classe dirigente, non significa di per sé che sia irrazionale e da rigettare. Se si osserva da vicino si vede: che in ogni fatto esistono due aspetti: uno «razionale» cioè conforme al fine o economico, e uno di «moda», che è un determinato modo di essere del primo aspetto razionale. Portare le scarpe è razionale, ma la determinata foggia di scarpe sarà dovuta alla moda. Portare il colletto è razionale, perché permette di cambiare spesso quella parte dell’indumento camicia che piú facilmente si sporca, ma la foggia del colletto dipenderà dalla moda, ecc. Si vede insomma che la classe dirigente «inventando» una utilità nuova, piú economica o piú conforme alle condizioni date o al fine dato, ha nello stesso tempo dato una «sua» particolare forma all’invenzione, all’utilità nuova. È modo di pensare da muli bendati confondere l’utilità permanente (in quanto lo è) con la moda. Invece compito del moralista e del creatore di costumi è quello di analizzare i modi di essere e di vivere, e di criticarli, sceverando il permanente, l’utile, il razionale, il conforme al fine (in quanto sussiste il fine), dall’accidentale, dallo snobistico, dallo scimmiesco, ecc. Sulla base del «razionale», può essere utile creare una «moda» originale, cioè una forma nuova che interessi.
Che il modo di pensare notato non sia giusto si vede dal fatto che esso ha dei limiti: per esempio nessuno (a meno che sia matto) predicherà di non insegnare piú a leggere e a scrivere, perché il leggere e lo scrivere è certamente stato introdotto dalla classe dirigente, perché la scrittura serve a diffondere certa letteratura o a scrivere le lettere di ricatto o i rapporti delle spie.
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